L’esposizione a polvere di amianto è purtroppo frequentemente causa di insorgere di tumori maligni, primo fra tutti il mesotelioma, che ha sconvolto la vita di tantissime famiglie, soprattutto nei territori, come quello napoletano, caratterizzati dalla presenza di fabbriche che hanno fatto abbondante uso di amianto.
Il mesotelioma è una malattia lungolatente della cui insorgenza ci si può accorgere anche a distanza di decenni dall’esposizione all’amianto.
Già l’art. 21 del d.p.r. 303/1956 obbligava il datore ad evitare l’esposizione dei lavoratori a polveri nocive anche e soprattutto se polveri di amianto, mentre l’art. 387 d.p.r. n. 547/1955 prevedeva che i lavoratori esposti a rischi di inalazioni pericolose di gas, polveri o fumi nocivi dovessero avere a disposizione maschere respiratorie o altri dispositivi idonei.
Ma la tutela della salute del dipendente rientra nel più generale obbligo previsto a carico del datore di lavoro dall’art. 2087 c.c. e, più recentemente, dal decreto legislativo 81 del 2008.
D’altronde, che l’amianto facesse molto male alla salute dell’uomo lo si sapeva già dall’inizio del 1900, come provato dalle previsioni normative e dalle pronunce giurisprudenziali dell’epoca: la legge n. 80 del 17.03.1898 (G.U. n. 175 del 31.03.1898) e l’art. 7 del R.G. (G.U. n. 148 del 26.06.1899), già a quell’epoca hanno sancito l’obbligo dell’adozione dei presidi di protezione individuale per la difesa dalle polveri. Il regio decreto 442 del 14.06.1909 incluse la filatura e tessitura dell’amianto tra i lavori insalubri o pericolosi. Anche il Regolamento generale per l’igiene del lavoro (R.D. n.530 del 14/4/1927, Approvazione del regolamento generale per l’igiene del lavoro, G.U. 25/4/1927 n. 95) ha dettato norme in materia di prevenzione e protezione dalle polveri all’art. 17 per disporne l’aspirazione e limitarne la diffusione nell’ambiente, disciplinando la protezione degli operai anche con dispositivi individuali.
Nella giurisprudenza, invece, già nel 1906, il Tribunale di Torino decidendo un procedimento per diffamazione (n. 1197/1906), determinato dalla pubblicazione di un articolo in cui l’amianto era definito come materiale pericoloso, avendo determinato molte vittime, rigettava la domanda, essendo l’articolo per cui era causa veritiero. Nell’occasione precisò che: «le acquisizioni del Congresso internazionale di Milano sulle malattie professionali in cui venne riconosciuto che fra le attività più pericolose sulla mortalità dei lavoratori vi sono quelle indicate col nome di polverose e fra queste in prima linea quelle in cui si sollevano polveri minerali e tra le polveri minerali le più pericolose sono quelle provenienti da sostanze silicee come l’amianto perché ledono le vie respiratorie quando non raggiungono sino al polmone». La decisione venne confermata con la Sentenza n. 334 del 28.05.1907 della Corte di Appello di Torino, poiché “la lavorazione di qualsiasi materia che sprigioni delle polveri […] aspirate dall’operaio, sia dannosa alla salute, potendo produrre con facilità dei malanni, è cognizione pratica a tutti comune, come è cognizione facilmente apprezzabile da ogni persona dotata di elementare cultura, che l’aspirazione del pulviscolo di materie minerali silicee come quelle dell’amianto […] può essere maggiormente nociva, in quanto le microscopiche molecole volatilizzate siano aghiformi od almeno filiformi ma di certa durezza e così pungenti e meglio proclivi a produrre delle lesioni ed alterazioni sulle delicatissime membrane mucose dell’apparato respiratorio”.
Infatti sin dagli inizi del ‘900 numerose furono le pronunce in materia. Successivamente si affermò che: “le forme assicurative predisposte per garantire gli operai contro talune malattie professionali tassativamente elencate, non dispensano i datori di lavoro dall’obbligo contrattuale di usare la dovuta diligenza nella propria azienda, per evitare danni ai lavoratori (anche se compresi nella previdenza assicurativa), adottando tutti i mezzi protettivi prescritti o suggeriti dalla tecnica e dalla scienza. Il dovere di prevenzione, che l’art. 17 r.d. 14 aprile 1927, n. 530, sull’igiene del lavoro, impone per il lavoro che si svolga in ‘locali chiusi’, va osservato in tutti quei casi in cui il luogo di lavoro, pur non essendo completamente chiuso, non sia tale da permettere comodamente e senza pericolo la uscita dei vapori e di qualsiasi materia nociva”.
Negli ultimi decenni la giurisprudenza si è purtroppo dovuta interessare numerosissime volte delle morti prodotte dall’uso di amianto, tanto in sede civile, per il risarcimento dei danni in favore dei familiari, quanto in sede penale.
Lo Studio ha difeso vittime dell’amianto ed associazioni che le tutelano in diversi processi in sede civile e penale in diverse parti d’Italia, sia per conseguire il derivanti dalla morte della persona esposta all’amianto, sia per ottenere la giusta condanna penale a carico dei responsabili.